La Procura di Milano indaga sui “turisti della guerra” che avrebbero pagato per sparare sui civili durante l’assedio di Sarajevo.

di Hajar Qacem

L’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1996 è rimasto impresso nella memoria collettiva come uno dei capitoli più cupi della guerra in Bosnia. Per oltre quattro anni, la capitale bosniaca fu stretta nella morsa delle milizie serbo-bosniache, guidate da Radovan Karadžić e Ratko Mladić, entrambi condannati all’ergastolo dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per crimini di guerra e genocidio.

La città fu sottoposta a un incessante bombardamento e al terrore quotidiano dei cecchini. Oltre 11.000 civili, tra cui circa 1.500 bambini, persero la vita sulle strade, trasformate in trappole mortali: ogni attraversamento poteva essere fatale, costringendo i residenti a camminare tra un edificio e l’altro in cerca di riparo lungo quello che divenne noto come il “Viale dei Cecchini” (Snipers’ Alley).

Oggi, questa tragica vicenda riceve un nuovo e agghiacciante impulso in Italia. Nel gennaio 2025, la Procura di Milano ha aperto ufficialmente un’inchiesta, a carico di ignoti, che riporta alla luce una realtà inquietante: l’esistenza di presunti “turisti della guerra”, definiti “cecchini del weekend”: si tratterebbe di cittadini occidentali che avrebbero pagato somme ingenti per essere accompagnati sulle postazioni serbo-bosniache per “provare l’emozione” di colpire bersagli umani, ossia i civili inermi che camminavano per Sarajevo.

L’indagine, affidata al Pubblico Ministero Alessandro Gobbis e ai Ros dei Carabinieri, procede per l’ipotesi di reato di omicidio volontario plurimo aggravato da crudeltà e motivi abietti. Si tratta di un crimine punibile con l’ergastolo e non soggetto a prescrizione secondo il Codice penale italiano. Lo scrittore Ezio Gavazzeni, che ha presentato la denuncia basandosi su testimonianze e documenti, parla apertamente di “strage aggravata da futili motivi”. L’indagine milanese si avvale anche del materiale raccolto dal Tribunale penale internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia (ICTY).

Dalla notizia dimenticata al documentario

Tutto ha avuto inizio da una notizia quasi dimenticata, letta da Gavazzeni negli anni Novanta su Il Corriere della Sera e La Stampa, e riaffiorata con forza nel 2022. La molla definitiva è scattata con il documentario dello sloveno Miran Zupanič, intitolato Sarajevo Safari. Il film raccontava di un presunto “turismo di guerra” organizzato per uomini d’affari facoltosi e professionisti occidentali, spesso appassionati di caccia e armi.

Secondo la ricostruzione, questi “clienti” pagavano l’equivalente attuale di un trilocale in una zona media di Milano per una trasferta di due o tre giorni. Le partenze avvenivano per lo più dal nord Italia, spesso via Trieste, e l’organizzazione richiedeva necessariamente l’assenso delle milizie serbo-bosniache che controllavano le colline. La denuncia di Gavazzeni, basata anche sulla testimonianza di un ex agente dei servizi segreti bosniaci, ipotizza il coinvolgimento di almeno cinque cittadini italiani ma l’autore teme che il fenomeno possa essere molto più esteso. Il documentario approfondisce l’inquietante fenomeno del “safari umano” durante l’assedio di Sarajevo attraverso testimonianze dirette e documenti d’intelligence. Uno dei testimoni chiave rivela di essere stato reclutato da un’agenzia americana per attraversare il paese sotto la copertura di finto giornalista, posizione che gli ha permesso di scoprire l’esistenza di veri e propri “cacciatori di esseri umani”, ossia cittadini stranieri, tra cui americani, russi, canadesi e italiani, disposti a pagare ingenti somme per partecipare attivamente al “tiro al bersaglio”. Sarebbe addirittura esistita “una tariffa” e una classifica agghiacciante: i bambini costavano di più, poi gli uomini (meglio in divisa e armati), a seguire le donne e infine i vecchi, che potevano essere uccisi gratis.

Questa ricostruzione trova riscontro nelle parole di un ex ufficiale dell’intelligence militare bosniaca (ARBiH), il quale riferisce l’interrogatorio di un soldato serbo catturato, che assistette personalmente al trasporto di uno di questi “turisti”. Secondo l’ufficiale, le informazioni vennero condivise all’epoca con il Sismi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare – servizio segreto militare italiano, attivo dal 1978 al 2007), poiché i flussi di questi cecchini mercenari sembra partissero proprio da Trieste.

Il “turista cecchino”, dunque, era un individuo estremamente facoltoso e influente, spesso un veterano o collezionista di trofei di caccia, spinto dal sadismo o dalla ricerca di adrenalina estrema. La componente ideologica o politica era minoritaria. La vera molla era l’adrenalina e il “potere assoluto di decidere della vita altrui”, sottolinea Gavazzeni, rafforzata dalla presunzione che il reato sarebbe caduto in prescrizione, ipotesi che il Codice Penale Italiano ha smentito.

Nonostante la gravità delle accuse, l’ex ufficiale sottolinea come nessuno dei responsabili sia mai stato identificato o perseguito; anzi, i testimoni sono tuttora oggetto di pressioni da parte dei servizi segreti serbi, per garantire il silenzio su questa tragica vicenda.

Per ora l’indagine è nelle sue fasi iniziali. Il lavoro investigativo dei Ros Carabinieri dovrà verificare la veridicità delle testimonianze e la possibilità di risalire agli autori, la cui età oggi si aggirerebbe tra i sessantacinque e gli ottant’anni.

Di Hajar Qacem

Mi piace informarmi costantemente sull`attualità. Non sono sognatrice oziosa, bensì una persona capace di intraprendere misure concrete per realizzare i propri obiettivi. Perciò mi piace condividere le mie scoperte con gli altri per stimolare discussioni interessanti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *